The Hunting Party
Di Dario ArpaioRichard Shepard, regista di The Hunting Party, ha dichiarato in un’intervista: “Ciò che mi ha spinto … è stato l’umorismo macabro di molti reporter di guerra, la forza elettrizzante e drammatica di una storia vera e gli aspetti oscuri e al contempo comici della caccia internazionale ai criminali di guerra. Mi è capitato da bambino di vedere Il Terzo Uomo e da allora i film ambientati nel dopoguerra non hanno mai smesso di appassionarmi. L’intrigo, il codice morale che si fa labile …”.
Diciamo subito che tra Il Terzo Uomo di Carol Reed (1949) e The Hunting Party di Shepard, non solo corre più di mezzo secolo, ma pure una grande distanza nella qualità e non solo drammaturgica. Inoltre se da un lato abbiamo tre indimenticabili interpretazioni di Joseph Cotten, Alida Valli e, su tutti, Orson Welles, dall’altro vediamo un Richard Gere di maniera e un improbabile Terrence Howard (Crash, Four Brothers) rispettivamente nei panni dell’inviato di guerra e del suo cameraman. La figura dell’inviato speciale al fronte ha sempre affascinato registi e romanzieri. Ricordiamo films come Sotto Tiro di Roger Spottiswoode con Nick Nolte, il bellissimo Le Urla del Silenzio di Roland Joffè e tanti altri nati dalla fantasia di bravi sceneggiatori. Nel caso di The Hunting Party si poteva ottenere qualcosa di assai più stimolante considerando che la vicenda narrata nel film origina da un fatto vero raccontato dall’inviato speciale Scott Anderson il quale, cinque anni dopo la guerra di Bosnia, torna sui luoghi, rivede quattro colleghi e dopo una sbronza di birra e di ricordi si trova coinvolto con gli altri in una caccia a Radovan Karadzic, il criminale di guerra tuttora latitante. Da quella che era nata come una mezza goliardata emerge man mano un quadro allucinante dal quale sembrano scaturire verità quanto meno sconcertanti. L’articolo che narra l’esperienza vissuta dai cinque giornalisti con il titolo “What I Did On My Summer Vacation” (Ciò che ho fatto durante le mie vacanze estive) è stato pubblicato sulla rivista Esquire nel 2000 ed è scaricabile dalla rete. Ne risulta una lettura gradevolissima e terribile al tempo stesso. Come mai cinque giornalisti riescono in pochi giorni a trovare le tracce di un feroce inafferrabile bandito che tuttora la CIA e le polizie di mezzo mondo sembrano non riuscire a rintracciare? Questa è, grosso modo, la storia raccontata anche dal film. Richard Gere, famoso inviato caduto in disgrazia, si fa aiutare dal suo vecchio cameraman e tra serbi cattivi e un po’ di adrenalina fasulla, riesce nel suo intento iniziale. Almeno così credono anche gli autori sul risultato finale del film, ma come dice uno dei protagonisti: “In guerra quello che vedi e quello che è successo sono due cose diverse”.
Dario Arpaio
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