The Next Three Days di Paul Haggis
Di Dario ArpaioPaul Haggis ha firmato grandi sceneggiature, dal pluripremiato Million Dollar Baby (2004), a Flag of our Fathers (2006), ancora a fianco di Eastwood, per il quale ha pure scritto il soggetto dello struggente Lettere da Iwo Jima (2006). Anche l’agente 007 ha avuto il suo apporto nell’intrigante Casino Royale, anch’esso del 2006. Dalla penna alla macchina da presa, andata e ritorno. Con il film Crash, forte e dolente pennellata sui duri rapporti umani nell’America di oggi, Haggis vince l’Oscar come miglior film, migliore sceneggiatura e montaggio (2004),
Poi gira In the Valley of Elah (2007), la storia della caparbia ricerca della verità sulla scomparsa di un marine in Iraq da parte del padre, uno sconsolato coriaceo Tommy Lee Jones, che si trova amaramente a scoprire in sé anche un nuovo senso al suo amor di patria. Film criticato nei contenuti, discusso, quando propone un’alzata di bandiera simbolicamente capovolta. Haggis sottolinea nei suoi film, con ostinazione, come si debba sempre credere in qualcosa, in qualcuno, e come questa credenza riempia la vita, ne costituisca il senso e il fine ultimo, soprattutto nell’America che dopo il 2011 ha cambiato ogni ottica.
Haggis si dimostra più forte, più incisivo come scrittore che come regista. Alcune lacunose pause pasticciano la vicenda della ricerca del marine, così come pure nel suo ultimo film da regista, The Next Three Days, dove si ritrovano le stesse pecche. Primo film prodotto dalla neonata Highway 61, fondata dallo stesso Haggis insieme con Michael Nozik, racconta la vicenda di un professore universitario la cui vita serena, all’improvviso, viene sconvolta, scardinata, quando la moglie finisce in carcere con un’accusa di omicidio basata su prove schiaccianti. Il professore le tenta tutte, convinto dell’innocenza, e alla fine deciderà di passare all’azione, architettando la rocambolesca fuga della moglie.
Ognuno di noi si può trovare strappato dalla propria quieta normalità, l’imponderabile esiste, è sempre dietro l’angolo, e quando ci colpisce non c’è altra via se non affrontarlo, nel bene o nel male. Nel soggetto si potrebbe anche leggere una metafora dell’America, che reagisce pur colpita nel profondo in tutte le sue certezze dopo l’attentato alle Torri gemelle.
Il film, di fatto, è il remake di Pour Elle di Fred Cavayè del 2008, riscritto dallo stesso Haggis in maniera forse un po’ frettolosa, perché se la penna è la sua forza, in The Next Three Days, proprio questa viene un po’ a vacillare. Se un imbolsito Russell Crowe ce la mette tutta per dare spessore al suo personaggio, sono i rapporti tra i vari ruoli che tentennano. Mi riferisco, per esempio, alla figura del padre di lui, interpretato dal bravo Brian Dennehy, che appare assente, con lo sguardo perso o ammiccante. I dialoghi tra lui e Crowe sono penosi, senza nerbo.
Peraltro il film corre su un buon ritmo con qualche sequenza d’azione, fulminea, assai ben girata. Il che lo rende, alla fin fine, divertente, ammiccante, ma povero di quei contenuti che hanno reso preziosa la scoperta e la figura di un autore come Paul Haggis.
Dario Arpaio
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