The Tree of Life di Terrence Malick
Di Dario ArpaioTerrence Malick ha finalmente terminato il suo poema in immagini più compiuto, The Tree of Life, frutto della sua riflessione sulla vita nel suo significato mistico più profondo. Malick riesce a disegnarne i tratti più misteriosi e affascinanti, dal macro al microcosmo, lasciandoci quasi turbati di fronte a così tanta naturale terribile bellezza. Quasi smarriti, come Mosè sul monte.
Viene detto che due sono le strade che un uomo può percorrere lungo l’arco della sua vita: quella della Natura, perfetta, compiaciuta in se stessa, e quella della Grazia, la via dell’Amore. E’ una madre che lo ricorda ai suoi figli, con tutta la tenerezza della quale solo chi ha portato il miracolo della vita nel proprio grembo può essere capace. Il padre, invece, quei ragazzi li vuole pragmaticamente forti, capaci di competere nel mondo.
Al suo quinto film in quasi quarant’anni, ci troviamo di fronte un Malick, per qualche verso, anche autobiografico, che torna con le immagini ai primi anni ’50 nella sua Waco, nel Texas, dove è nato e cresciuto. The Tree of Life così racconta di una famiglia alle prese con il suo tempo di vita e di morte, di gioia e di dolore. Lo fa a suo modo, utilizzando di più la narrazione della voce fuori campo che non il dialogo diretto. La macchina da presa accompagna il nostro occhio in ogni dettaglio, anche insignificante, soffermandosi sulle piccole cose quotidiane, attraverso i giochi o le liti, le tenerezze o i rancori, fino al culmine, all’ineluttabilità della morte, quì rappresentata dalla scomparsa di uno dei ragazzi appena diciottenne. Il vuoto che lascerà sarà incolmabile e segnerà per sempre anche la vita del fratello maggiore. Costui lo ritroveremo poi adulto al giorno d’oggi, intrappolato tra il suo passato, per così dire incompiuto nel suo rapporto conflittuale con il padre, e un presente drammatico dove il senso della vita si perde, frantumato in un susseguirsi di palazzi di vetro e acciaio che schiacciano quell’unico albero al quale potersi aggrappare, la famiglia.
Malick va giù, fino nel profondo, alle radici della vita, per arrivare a svelare ciò che è oltre, l’alfa e l’omega, l’inizio del tempo e dello spazio. Cita la Bibbia con un passo del libro di Giobbe, dove Dio ricorda all’uomo, “dov’eri quando io ponevo le fondamenta della terra? … mentre gioivano in coro le stelle del mattino…” . Sulle note della ‘Moldava’ di Smetana, si susseguono immagini sublimi, dalla nascita di nebulose fino all’espressione di una cellula, dall’acqua dell’onda che si frange intorno all’eruzione del vulcano. Dall’acqua e dal fuoco hanno avuto origine la terra dei dinosauri e tutte le cose, grandi e piccole, via avanti fino a quella famiglia di Waco, Texas, anni ’50.
Non c’è una trama in questo film, almeno secondo l’accezione generalmente riconosciuta, ma ogni minuto di proiezione è un canto che si eleva e tutto avvolge. Così come hanno vissuto gli stessi attori sul set, ricevendo ogni mattina dal regista solo poche paginette, immancabilmente modificate durante i ciack, uno, due al massimo. Come se Malick non intendesse perdere quell’esile filo narrativo e di composizione per poterlo esaltare nel suo personalissimo criterio di montaggio.
Per la cronaca, cinque montatori hanno lavorato, separatamente, alle diverse parti del film, sotto la supervisione di Malick, per ben due anni. Il risultato è visivamente straordinario, tanto quanto stupefacente è la colonna sonora che le accompagna, frutto del lavoro di Alexandre Desplat.
I protagonisti del film, è noto, sono Brad Pitt, entusiasta co-produttore del progetto, Sean Penn, Jessica Chastain. Ma a questo straordinario regista, che fugge con ostinazione da ogni apparizione pubblica, interessa solo la creazione. Il suo dire è tutto lì in quei fotogrammi, accarezzati e levigati fino a essere ridotti all’essenza stessa dell’immagine, per guidarci dentro e oltre o, comunque, là dove il pensiero filosofico di questo grande e unico regista può condurci.
Dario Arpaio.
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Proprio ieri ho visto questo film…bellissimo!!! Malik ha saputo mettere in scena, con le immagini e la musica, le sensazioni e i conflitti più profondi e segreti che l’uomo prova nel corso della sua esistenza. Ha saputo raccontarci quello che è il percorso, tutto interiore, alla ricerca di quella dimensione mistica che trascende il quotidiano e fa dell’uomo un essere libero e “immortale”.
Nella tua recensione hai saputo cogliere molto bene e con grande sensibilità tutti gli aspetti e le sfaccettature più importanti del film.
Grazie Paola,
questo film ha quasi i caratteri di un’opera sperimentale, più che di un lungometraggio a soggetto, meglio ancora un poema per immagini e lascia la forte sensazione di finitezza dell’essere umano e della straordinaria espressione della vita nella sua potenza, nella sua intima forma e sostanza. E’l’infinito che va ben oltre le nostre ‘piccole’ quotidianità. E’ davvero un grande regista e bisognerebbe ringraziarlo per averci trasmesso queste sue riflessioni in maniera così … così … non ci sono parole bastevoli.
ciao
dario
Un lavoro davvero impressionante, anche se il significato a volte l’ho trovato sfuggevole. Credo che Malick invece che “dire” preferisca “mostrare”.
Verissimo ! E’ il cinema in purezza. Le immagini creano una magia di linguaggio immediata anche se , a volte , può risultare più ostica. Bisogna lasciarsi andare e seguire il filo conduttore del regista , entrare nel ‘suo’ spartito e seguirlo , senza condizionamenti , senza preconcetti. Come per il rock o il jazz. Alla fine avremo acquisito qualcosa di più che non era nostro, ma, forse potrebbe farci crescere attraverso una visione altrui, diversa dalla nostra, comunque libera da condizionamenti.
grz e alla prossima !
Dario