Tideland e l’immaginoso Gilliam
Di Dario ArpaioTideland è la terra delle maree infinite secondo Terry Gilliam. Ma dove ci porta? Dove sono? Qualche volta (forse) ci siamo trovati noi pure a curiosare nelle forme di una nuvola, oppure a fantasticare sui comignoli di quella casa, tutti allineati come soldatini prima della battaglia, o ancora su quell’altro scoglio dalla forma strana come un muso di un lupo e abbiamo avuto paura. Poi l’incanto si è rotto, nel bene o nel male. La tremenda forza di gravità del senso comune (o della morale) ci ha di nuovo aggredito e ancorato saldamente alla realtà. Niente più canto di sirene ma solo clacson à go-go di qualche querula anziana signora. Proprio come mi è toccato di vedere durante la proiezione di Tideland quando alcune amabili signore di una certa età si sono alzate poche decine di minuti dopo l’inizio un po’ scandalizzate e molto seccate per avere assistito a un così brutto film. Stessi commenti controversi sono stati portati alla prima del film nel piccolo paese perugino di Montone che pure ha premiato la pellicola di Terry Gilliam durante l’Umbria Film Festival, così come altri premi ha ricevuto il nostro al Festival di San Sebastian. Perché tanti contrasti intorno a questa pellicola? Eppure la fama di Gilliam, regista visionario per eccellenza e la bravura della piccola undicenne Jodelle Ferland hanno qualcosa di straordinario. La bambina ha già lavorato addirittura in alcune decine di pellicole e lo stesso Gilliam afferma di essere intervenuto assai poco su di lei in fase di lavorazione. Jodelle ha potuto far da sola e merita sicuramente grande attenzione nel prossimo futuro. Il suo personaggio, la piccola Jeliza Rose, si ritrova improvvisamente orfana dei due genitori drogati e sballati quanto di più si possa pensare. Ci piace pensare che il padre Jeff Bridges stenda – forse – un ponte ideale tra il finale de La Leggenda del Re Pescatore e questa riduzione del libretto di un certo Mitch Cullin.
Là dove terminava la vicenda del re pescatore in un prato sotto le stelle al Central Park qui continua un vecchio rocker sognando lo Jutland e altre regine per altri re, i quali però si perdono e affogano inesorabilmente nella terra delle maree del titolo in un viaggio senza ritorno attraverso una siringa di troppo. Jeliza Rose è sola in una grande casa semidistrutta con la sola compagnia del cadavere del padre e di quattro teste di bambole. Ma non trema, corre sulla sua paura come fece Alice precipitando nella tana del Bianconiglio. Con una reattività che ha del tragico fugge la realtà della sua sventura e costruisce un immaginario teatro dove lei stessa è attrice e domatrice di visioni fantastiche. Poi altri personaggi strampalati si uniscono al paesaggio in uno scenario mirabilmente reso dalla fotografia del bravissimo Nicola Pecorini che lavora sui colori e sulle atmosfere di un quadro del pittore iperrealista Andrew Wyeth e del mondo della sua piccola Cristina. Anche i nuovi vicini di Jeliza Rose provengono da altre dimensioni, da altri mondi: lei è un donnone con la fobia delle api che la porta a indossare perennemente una cupa tenuta da apicultore e il fratello è un cerebroleso epilettico. Pian piano avvicinano la bimba e si incastrano nel suo immaginario fino al tragico epilogo di un treno squalo che evoca un non finale con nuovi personaggi e nuove realtà.
Terry Gilliam dei Monty Python ci accompagna in un universo che si costruisce solo nello spazio che c’è prima della fantasia stessa e che solo i bambini con la loro incredibile forza di sopravvivenza possono creare. Solo i bambini sanno sopravvivere al dolore, alla violenza più cupa con una forza che ha pochi eguali nel regno animale. Non può riuscirci il protagonista di Brazil, nè quello della Leggenda del Re Pescatore, neppure l’altro dell’Esercito delle 12 Scimmie. Solo una bambina di 11 anni con 4 teste di bambola può farcela. E chi non approva o rifiuta l’immagine, anche se a tratti scabrosa e pur sempre innocente, è certo libero di lasciar la sala per rifugiarsi nel suo quotidiano quadrato che difficilmente avrà un fine o un senso mai al di là di ciò che si vede, si tocca, si sente.
Dario Arpaio
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