Tracks, attraverso il deserto fino in fondo all’anima
Di Dario ArpaioOggi l’australiana Robyn Davidson ha 62 anni. All’età di 27 ha compiuto la sua impresa. E’ riuscita in ciò che si profilava all’apparenza solo un folle progetto e che invece ha cambiato la sua vita. Partita da Alice Springs, nei Territori del Nord in Australia, attraversando 2700 km di uno dei luoghi più aridi e inospitali della Terra, ha raggiunto la costa sull’Oceano Indiano, camminando sola per mesi e mesi –quasi nove- a fianco di tre cammelli e un cucciolo, insieme alla sua inseparabile cagnetta Diggity. L’incredbile viaggio è stato in parte documentato da un fotografo della rivista National Geographic, Ricky Smolan. Il reporter, immediatamente affascinato dalla personalità della donna già dal primo casuale incontro, ha poi raccontato di aver faticato non poco per superare la ritrosia e la diffidenza di Robyn, desiderosa di non volere intrusi nel suo sogno di un percorso di libertà assoluta. Da quel viaggio è nato un libro di straordinario successo dal titolo Tracks, tracce, sia per onorare gli impegni presi con la rivista, divenuta sponsor dell’impresa e anche nell’intento di deviare sul romanzo l’enorme peso della popolarità che l’ha circondata fin dalle prime notizie corse intorno al suo viaggio. L’essere diventata per tutti Lady Camel è sempre risultato insopportabilmente stretto per la Davidson. Nel corso degli anni le sono giunte molte proposte da Hollywood per la cessione dei diritti cinematografici, ma ha sempre rifiutato sdegnosamente ogni lusinga. Ha poi acconsentito a un progetto totalmente australiano, con la regia affidata a John Curran, che ha diretto il film, intitolato appunto Tracks, presentato al Festival di Venezia dello scorso anno.
Robyn è interpretata magnificamente da Mia Wasikowska. L’attrice australiana è riuscita a esprimere, con tutta se stessa, il senso dell’avvincente pulsione, quasi istintiva, verso quello spazio sconosciuto e misterioso che esiste nel profondo dell’anima di ognuno, spesso represso, a volte viceversa debordante con prepotenza incontenibile, vivendo fino in fondo l’attrazione che conduce a seguire le tracce in direzione di un orizzonte sconosciuto, attraversando le mete inesplorate di un inconscio desideroso solo di libertà, fuori dagli stretti vincoli imposti dalla società che propone e dispone per la vita di ogni giorno. Il viaggio di Robyn non è una fuga. Genuinamente e intensamente esprime in sé il mistero del sogno di Ulisse, il desiderio innato e insostenibile della scoperta e del superamento dei propri limiti nel raggiungimento di quale che sia la meta.
Il regista John Curran, americano di nascita e australiano di adozione, ha diretto un film affascinante, facendo altresì tesoro delle fotografie del reporter Ricky Smolan. La bellezza del suo Tracks stà nel sussegursi delle immagini dei colori dell’anima della protagonista mentre partecipa alla tavolozza di albe e tramonti dai colori impossibili, come solo quel territorio arido sa esprimere. Un deserto spietato eppure così vitale nei segni della cultura degli aborigeni che lo hanno vissuto e interpretato per 50.000 anni prima dei bianchi. Il film è davvero capace di esprimere a tratti il silenzio dell’universo e di trasmettere, emozionando, il senso di una partecipazione visiva all’impresa di Robyn Davidson.
Oggi quel viaggio sarebbe diverso, improponibile in un’analogia di contenuti. Potrebbe rivelarsi quasi inopportuno partire senza utilizzare strumenti come un GPS o ciò che di meglio il web sia in grado di offrire, magari postando le proprie emozioni su di un blog. Sarebbe pur sempre avventura genuina, ma forse meno profonda, comunque diversissima da ciò che in maniera unica e irripetibile è riuscita con grande sofferenza e caparbietà a vivere, fino in fondo, Robyn Davidson. Dal suo libro –edito da Rizzoli e praticamente introvabile- citiamo:
“…Entrai in uno spazio, in un tempo, in una dimensione completamente nuovi. Mille anni si comprimevano in un giorno e ogni mio passo durava secoli…”
Dario Arpaio
Commenta o partecipa alla discussione