Tutti all’inferno con Sam Raimi
Di Dario ArpaioE’ tornato! E’ davvero tornato! Sam Marshall Raimi ci regala Drag Me to Hell, un gioiellino horror vecchio stile, come non si vedeva più dai tempi de La Casa.
Tutto è cominciato nel 1982. Sam aveva quasi vent’anni. Aveva girato qualche film di poco successo e non aveva ancora trovato una strada propria e originale per esprimersi. Due amici, Bruce Campbell e Rob Tapert, lo convinsero a buttarsi sul genere horror nonostante la sua riluttanza iniziale. A lui, quei film, non piacevano proprio. Da bambino gli facevano paura… Così, dopo notti intere passate nei drive-in, insieme con Bruce e Rob, letteralmente divorando tutto ciò che di horror era in circolazione, nasceva il soggetto de La Casa e Bruce Campbell divennne per tutti Ash.
La Casa 1, 2 e 3, rien ne va plus! Raimi divenne uno dei più grandi registi del genere con il suo stile personalissimo. Il successo arrivò come un ciclone in casa Raimi, grazie anche al fiuto del grande Dino De Laurentis, il quale produsse La Casa 2 e 3, meglio conosciuto come L’Armata delle Tenebre. I due fratelli (Ivan scrive sempre con Sam le sceneggiature) non sbagliarono più un colpo. Di lì a poco, dopo un’incursione nel genere western (il sottovalutato Pronti a Morire) e qualche film drammatico, ancora un trionfo, questa volta grazie ai fumetti. Sam viene scelto dalla Columbia per girare il primo Spiderman. Di nuovo, 1, 2 e 3! Questa volta con grandi mezzi a disposizione e incassi da capogiro al botteghino, ma, soprattutto, grande arte cinematografica. Il suo Spiderman oggi è storia.
In attesa di iniziare il quarto episodio dell’uomo ragno, i due fratelli Raimi rispolverano un vecchio progetto, un racconto iniziato a scivere nel’69, Drag Me to Hell. Per trovare i soldi necessari Sam decide di mettersi alla regia. Oggi il suo nome è garanzia di successo e così ritorna dietro la macchina da presa a girare un horror vecchio stile, denso di humour, alla sua maniera, con quei movimenti di macchina improvvisi, sconvolgenti, che ti schiacciano sulla poltrona. Al suo fianco sempre gli stessi che lavorano con lui dagli anni ’80, soprattutto Greg Nicotero al make up, e Peter Deming alla fotografia. Con loro, sul set bastano poche parole.
Solo con una grande intesa si può girare con un budget ridotto. In Drag Me to Hell gli ingredienti dell’horror made in Raimi ci sono tutti: “Buffe case horror, spaventi, sequenze piene di suspense e qualche risata qua e là” come dice lui stesso. Non occorre altro, non occorre l’esagerazione pseudo-realistica, sadicamente splatter fino al cattivo gusto di certi altri titoli che preferiso non citare. Drag Me to Hell invece pare uscito da quei Racconti della Cripta che il terribile vecchietto Zio Tibia ci snocciolava negli anni ‘70, uno dopo l’altro, con quell’indimenticabile ghigno sardonico di chi la sa lunga sui difetti degli uomini, di quel genere che può solo condurre alla perdizione.
In Drag Me to Hell, letteralmente trascinami all’inferno, è proprio ciò che accade alla protagonista, una giovane ambiziosa impiegata di banca che, per aver negato il prolungamento di un mutuo a una vecchia gitana solo per farsi bella agli occhi del suo direttore, si ritrova vittima della più feroce delle maledizioni. La terribile vecchietta evoca una Làmia, un tremendo demone vendicatore che nell’arco di tre giorni ha il compito di scaraventare negli inferi la giovane malcapitata. In soccorso interviene una medium che ha un conto aperto proprio con la Làmia, e in una rocambolesca seduta spiritica tutto può succedere, soprattutto nei film di Sam Raimi…
Dario Arpaio
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