Valzer con Bashir

Di

valzer-con-bashir.jpgSettembre 1982. Guerra civile libanese. Bashir Gemayel, primo ministro del Libano, cade vittima di un attentato dei palestinesi. Le truppe falangiste cristiane piangono il loro ‘idolo’ e danno il via alla più atroce delle rappresaglie. Circa alle ore 18:00 di giovedì 16 settembre i falangisti cristiani entrano nei campi dei profughi palestinesi di Sabra e Chatila. L’ordine è di fare fuoco contro tutto e tutti, cadono indistintamente uomini, donne, vecchi e bambini. Successivamente le autorità libanesi dichiararono 460 vittime. I servizi segreti israeliani ne stimarono circa 800. La Croce Rossa calcolò dai 1000 ai 1500. Fonti filo-palestinesi ne contarono 3500. Nessuno saprà mai la verità. Una inviata del Washington Post il 20 settembre scrisse: “La scena nel campo di Shatila, quando gli osservatori stranieri vi entrarono il sabato mattina, era come un incubo. In un giardino, i corpi di due donne giacevano su delle macerie dalle quali spuntava la testa di un bambino. Accanto ad esse giaceva il corpo senza testa di un bambino. Oltre l’angolo, in un’altra strada, due ragazze, forse di 10 o 12 anni, giacevano sul dorso, con la testa forata e le gambe lanciate lontano. Pochi metri più avanti, otto uomini erano stati mitragliati contro una casa. Ogni viuzza sporca attraverso gli edifici vuoti – dove i palestinesi avevano vissuto dalla fuga dalla Palestina alla creazione dello Stato di Israele nel 1948 – raccontava la propria storia di orrori. In una di esse sedici uomini erano sovrapposti uno sull’altro, mummificati in posizioni contorte e grottesche.”

A quell’epoca Ari Felman, autore del bellissimo film Valzer con Bashir, aveva 19 anni ed era di stanza a Beirut con l’esercito israeliano corso ad appoggiare i cristiano-maroniti contro i filo-palestinesi. Oggi Felman ha sentito forte l’impulso di ricostruire cosa accadde in quei giorni a lui e ai suoi compagni d’arme. Rintraccia i suoi vecchi commilitoni, li interroga, indaga nei loro sogni, compone un mosaico della memoria che si muove tra l’autoanalisi, il bisogno di dimenticare che emerge in tutti loro, e ciò che effettivamente successe senza che nessuno di essi quasi si rendesse conto dell’eccidio. Eppure le truppe israeliane erano lì, a poche centinaia di metri. Ma dei ragazzi inviati al fronte poco sanno della morte che li avvolge. Sono dei ventenni che devono solo ubbidire al proprio Comando. Eppure avranno certo udito gli spari e le urla di dolore. Ma non sono intervenuti per fermare la strage. Nessuno glielo ha ordinato. La pietà non va alla guerra. Davvero pregevole Valzer con Bashir, questa allucinata metaforica danza dei soldati israeliani che si muovono (forse) disorientati in mezzo ai manifesti con il volto del premier ucciso appesi su tutti i muri di Beirut. Nessuno vince mai una guerra. Nei sopravvissuti restano solo immagini a due colori e qualche incubo ricorrente.

Ottimo l’orientamento di Felman verso l’animazione che sfrutta con pregevole tecnica tutti i mezzi di uno strumento del tutto insolito per l’arte documentaristica, rendendola efficace, dura, commovente nei pochi colori che non ritraggono i meravigliosi cedri di Beirut, ma solo il dolore che ha spazzato la memoria di quei giorni per chi li ha vissuti nella quasi totale indifferenza di tutto il resto del mondo. Per non dimenticare che la pietà non va alla guerra.

Dario Arpaio


Commenta o partecipa alla discussione
Nome (obbligatorio)

E-mail (non verrà pubblicata) (obbligatoria)

Sito Web (opzionale)

Copyright © Teknosurf.it, 2007-2024, P.IVA 01264890052
SoloCine.net – Guida e storia del cinema supplemento alla testata giornalistica Gratis.it, registrata presso il Tribunale di Milano n. 191 del 24/04/2009