Vita di Pi, spettacolare film di Natale
Di Dario ArpaioYann Martel è un giovane romanziere franco-canadese giunto al successo con il suo pluripremiato romanzo Vita di Pi, affascinante alla prima lettura tanto da richiederne almeno una seconda per addentrarsi fino in fondo agli angoli più remoti della vicenda, capaci di svelare molteplici spunti spirituali e non solo.
Il libro ha richiamato l’attenzione della Fox nel lontano 2003. Dopo l’alternarsi di svariate candidature, l’impresa è stata affidata a un regista tanto eclettico quanto capace di stupire a ogni suo nuovo film, Ang Lee, il quale dopo avere dato il meglio di sé nei generi più svariati, ha scelto il 3D per raccontare la Vita di Pi. Prova non facile da nessun punto di vista, se si pensa poi che quasi tutto il film ha come scenario solo le onde dell’oceano e l’anima del protagonista, il giovane Pi, unico superstite del naufragio della nave in viaggio dall’India verso il Canada, con a bordo la sua famiglia e tutti gli animali del loro zoo, abbandonato a Pondicherry per motivi economici. Pi sopravvive su di una scialuppa in difficile quanto precaria coabitazione nientemeno che con una tigre del Bengala, chiamata Richard Parker. I due si fronteggeranno, per poi ritrovarsi uniti, nella difficile lotta per la sopravvivenza in balia dell’oceano. Ma veniamo ai nomi dei due protagonisti. Pi come pi-greco, artificio ideato dal giovane indiano per evitare i lazzi dei suoi compagni di scuola a causa del suo curioso vero nome, Piscine Molitor, luogo della memoria di un altrettanto strambo zio, di mestiere viaggiatore. Richard Parker, come uno dei personaggi del romanzo di E.A. Poe, storia di un altro tragico naufragio, quello delle Avventure di Gordon Pym.
Ang Lee si destreggia con equilibrismi di splendida fattura nel difficile compito di rendere in immagini le affascinanti pagine del romanzo grazie al 3D e alla CGI (computer generated imaging). Solo attraverso un ulteriore affinamento di queste tecniche ha potuto ‘entrare’ nello spirito di Pi, e grande merito va alla fotografia del cileno Claudio Miranda (candidato all’Oscar per Il curioso caso di Benjamin Button), nonché alla sceneggiatura di David Magee (lo ricordiamo per Neverland). Lee e Magee hanno seguito la partitura del romanzo rendendo la storia in tre parti. La prima è di conoscenza dei personaggi. Siamo in India, e il giovane Pi deve destreggiarsi tra il suo bisogno di spiritualità e la fredda razionalità scientifica del padre. La seconda parte racconta il naufragio in un vero e proprio viaggio ai limiti della sopportazione (nel libro dura ben 227 giorni).
Nella terza parte, infine, Pi deve affrontare la realtà del ritorno alla vita normale nella veste di sopravvissuto alle prese con chi non crede o con chi non comprende, non vedendo altra via se non il raziocinio di fronte a una storia incredibile, inverosimile. Pi allora si propone di raccontare versioni della sua storia diverse a quella realmente vissuta. Ma dove sia la verità, alla fine, starà allo spettatore decidere. Dove può trovare un uomo le risposta ai quesiti dell’esistenza: nel dubbio che tutto ammette, dalla religione, alla scienza, in mezzo a un milione di dei o nella ragione? La risposta è forse nella fede grazie alla quale si esalta la capacità di sopravvivenza di Pi, attraversando il dolore e la disperazione. Masta anche nella fascinazione di fronte alla meraviglia dell’Oceano e, perché no, negli occhi della tigre, capace di sopravvivere grazie alla sua ferocia di predatore e alla sua potenza attraverso le quali Pi riesce a coniugare la comprensione del senso ultimo della vita stessa.
Grande film per grandi e piccini da un romanzo affascinante. Probabilmente solo Ang Lee poteva essere il regista capace dell’impresa. Tra gli altri meriti, ha anche quello di interpretare il 3D non solo in forma di spettacolarità, ma lasciando intravvederne meglio le grandi potenzialità espressive alle quali non siamo ancora del tutto avvezzi, probabilmente anche distolti da un uso smodato del mezzo, non sempre degno di nota.
Dario Arpaio
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